TOYS & ENTERTAINMENT
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ENTERTAINMENT
E. è un’espressione tra le più ricorrenti nel lessico mediologico
internazionale, dove riveste un significato che nella versione italiana di
‘intrattenimento’ trova solo parziale equivalenza. Nell’accezione comune e
nell’uso che ne fanno le stesse emittenti televisive – ad esempio in sede di
presentazione o di bilancio della programmazione annuale – ‘intrattenimento’ o
talora ‘intrattenimento leggero’ sta infatti per programmi di spettacolo e di
varietà e costituisce, accanto all’ informazione e alla fiction, uno dei
cosiddetti macrogeneri della produzione televisiva. Pur
essendo sostanzialmente corretta – poiché varietà, quiz, giochi, talk show e quant’altro di
simile sono senza dubbio generi di ‘intrattenimento’ – questa accezione e
questa demarcazione risultano riduttive rispetto alla più larga generalità
della categoria di e., come la si trova utilizzata e applicata in campo
internazionale nei media e nei television studies.
E. deriva dal latino tenere, che fra i suoi diversi significati
annovera quello di trattenere, nel senso di tenere avvinti e interessati,
coinvolti emotivamente e, più in generale, piacevolmente impegnati. E. è dunque
qualsiasi cosa, ovvero prodotto o performance, che abbia lo scopo e
l’effetto di catturare l’attenzione procurando al tempo stesso esperienze e
sensazioni di divertimento e di piacere, ma non per questo necessariamente
euforiche: il pathos o la paura possono essere – e normalmente sono –
fonti di piacere, come dimostra la popolarità di generi quali il melodramma e
l’horror. La categoria dell’e.
si estende in tal modo assai oltre la tipologia dei programmi di varietà e di
spettacolo in senso stretto, per abbracciare la stampa e la musica popolare, il
vasto corpus narrativo della televisione e del cinema e, in definitiva, poco
meno che l’intero universo dei prodotti della cultura di massa (mass
entertainment).
Un’accezione così vasta rischia di essere alquanto generica; e in effetti,
malgrado l’uso frequentissimo, e. è un’espressione in larga misura
sotto-concettualizzata che, per appartenere a una sorta di senso comune
mediologico, non si accompagna quasi mai a una precisa definizione. Che cosa
sia e. è ritenuto far parte del dato-per-ovvio, soprattutto in contesti
linguistico-culturali dove questo termine o sue varianti rientrano nel parlato
quotidiano (nella lingua inglese entertaining è espressione
abituale e diffusa per significare cosa piacevole o divertente). Può accadere,
così, che all’e. siano dedicati libri o articoli senza che in nessun luogo,
all’interno del testi, ne venga proposta una concettualizzazione (Modleski,
1986); o ancora accade che la parola sia perfino ignorata da dizionari e
manuali di riferimento sulle comunicazioni e sui media.
Sebbene la definizione più semplice e condivisa identifichi nella piacevole
diversione l’essenza dell’e., quest’ultimo si trova forse più spesso a essere
definito – esplicitamente o implicitamente – al negativo, vale a dire per ciò
che non è: non è arte, né informazione né educazione, né
propaganda. E poiché si caratterizza, o sembra caratterizzarsi, piuttosto per
assenza che per presenza di requisiti e di motivazioni, all’e. – e a tutta la
vasta e variegata categoria di prodotti e pratiche culturali ricoperti da
questa etichetta – è correlata una reputazione decisamente inferiore rispetto a
quella socialmente assegnata a prodotti e pratiche di tipo estetico,
informativo, educativo, persuasorio o altro ancora. Come rilevano gli autori –
invero poco numerosi – che si sono occupati dell’argomento, e fra questi in
particolare Richard Dyer (Dyer, 1992), il presupposto che l’e. sia un genere
minore o secondario è incorporato e tradito dall’atteggiamento di liquidatoria
sufficienza con cui spesso si afferma che un certo film o programma televisivo
o spettacolo musicale o qualsiasi altra cosa, è mero intrattenimento, ‘only
e.’.
Tuttavia, e non ultimo perché alimenta un vasto e diversificato sistema
industriale (Turow, 1991), l’e. non è reputato così futile o insignificante da
non costituire un terreno di disputa intellettuale, se non addirittura di
dibattito ideologico. A questo riguardo si possono identificare almeno tre
differenti posizioni valutative: una di orientamento positivo, le altre due
fortemente critiche.
a) La prima posizione è generalmente sostenuta da coloro che lavorano nelle
industrie dell’e. e che fanno propria una concezione disimpegnata e divagatoria
delle loro stesse produzioni, creazioni e performance; la nota e assai citata
affermazione attribuita a un produttore hollywoodiano – "se voglio
trasmettere un messaggio mando un telegramma" – esemplifica bene questa
posizione tradizionale, secondo la quale scopo primario dell’e. è, appunto,
intrattenere piacevolmente, mentre altri scopi o effetti comunicativi sono da
ritenersi del tutto accessori o incidentali. Per quanto possa apparire intrisa
di spirito commerciale e di una visione unidimensionale sia dei pubblici sia
dei consumi culturali di massa, questa difesa del ‘mero e.’ ha pur funzionato,
in alcuni particolari momenti storici, come un dispositivo retorico di qualche
efficacia contro l’insorgenza di climi e atteggiamenti censori nei confronti di
espressioni e manifestazioni della cultura di massa.
b) Nel fare appello alla presunta innocuità e neutralità del ‘mero e.’ si vede
invece all’opera, secondo una prospettiva critica radicata nella teoria
marxista dell’ideologia e dell’egemonia, un autointeressato rituale strategico
che tende a occultare operazioni manipolatorie o a giustificare
rappresentazioni distorte e stereotipate delle classi, delle razze, dei sessi e
delle generazioni. La piacevole diversione procurata dall’e. è riguardata, da
tale prospettiva, non come fine in sé ma come strumento inavvertito che
favorisce la trasmissione e la coltivazione di idee, valori, visioni egemoni
del mondo e dei rapporti sociali, mentre maschera o rimuove problemi e
contraddizioni. Se nelle sue versioni più radicali finisce per concedere troppo
al potere manipolatorio dell’e., questa posizione ne coglie tuttavia il
carattere polifunzionale e la irriducibilità alla sola dimensione della
piacevolezza; è difficile negare, ad esempio, che molta comicità abbia il suo
motore in pregiudizi o stereotipi etnici o sessuali, o che la commovente storia
d’amore di Casablanca sia narrata nel contesto di un film di
propaganda antitedesca.
c) Una ulteriore posizione critica è infine quella che, attingendo piuttosto a
una tradizione di pensiero conservatore, imputa all’e. la degradazione dei
valori estetici e morali, un’influenza diseducativa che si esercita soprattutto
sui bambini e sui giovani, l’involgarimento del gusto, e in generale di essere
una ‘fabbrica dei sogni’ che alimenta consolatorie quanto irresponsabili fughe
dalla realtà.
In anni relativamente recenti, il campo dei media e dei cultural studies ha registrato
l’emergere di un clima critico più attento e seriamente interessato ai vari
fenomeni della cultura popolare e di massa; anche l’e., o di volta in volta
l’una o l’altra delle sue variegate espressioni, è divenuto oggetto di seria
considerazione da prospettive intellettuali finalmente meno ipotecate da
allarmi, timori o preconcetti. Tuttavia, come di nuovo fa osservare Richar
Dyer, l’approccio prevalente all’e. è pur sempre di tipo dislocativo: vale
dire, è un approccio che individua l’interesse dell’e. in tutto ciò che esso
contiene d’altro. Così, si ricercano e si analizzano i significati
esistenziali adombrati nei film horror, o la costruzione delle identità di
genere nelle commedie e nel varietà, o la riconfigurazione dei rapporti tra
sfera pubblica e sfera privata nella stampa popolare: in una reiterata
negazione della rilevanza dell’e. in quanto tale, e del piacere che
la sua fruizione comporta e che resta, al di là di ogni altra cosa, il suo più
autentico requisito.
In alcune zone della produzione di e., del resto, si vanno verificando processi
di commistione e di contaminazione in piena sintonia con l’approccio
dislocativo citato più sopra, e apparentemente all’insegna di un ‘non
solo e.’. Sebbene a questo riguardo l’attenzione degli osservatori sia
stata soprattutto catturata dal fenomeno del cosiddetto infotainment –
un’informazione che sembra tradire sempre più i canoni giornalistici per
ispirarsi ai modelli dell’e. – il fenomeno opposto e simmetrico della newsification (Schudson,
1995) assume contorni più ampi e rilevanti.
Per newsification si intende la crescente presenza dei temi
dell’attualità giornalistica nel campo dell’e. Chiaramente osservabile
soprattutto nella televisione degli ultimi anni, questa autentica irruzione
delle news sia nei programmi di fiction (Buonanno,
1992a; 1992b) sia nei programmi di intrattenimento leggero, si inserisce nella
naturale evoluzione dei linguaggi e dei generi mediali, oltre che essere
dettata da economie produttive e ispirata da climi culturali più o meno
contingenti. In ogni caso si tratta di un processo che, proprio nel nobilitare
l’e. innestandovi un genere accreditato di un’alta reputazione, di fatto ne
riconferma lo statuto di debole autonomia e l’impossibilità di essere e di
venire considerato ‘only e.’.
FCO News
28 ottobre 2020
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“Nell'era dei videogames ho scommesso sui giochi in scatola”
Anche se chiusi in casa, le abitudini si reinventano. Complice la quarantena forzata, fra l'altro, stiamo riscoprendo tante buone vecchie abitudini. Come quei bei giochi da tavolo che, fino a pochi giorni fa, sembravano appartenere a un passato polveroso, dimenticati nei cassetti o affogati nella cassapanca in soffitta.
La ricetta è una combinazione di virtù, condite da una dose infinita di
passione: Siamo persone entusiaste e appassionate: ludo ergo sum (gioco dunque
esisto) sintetizzabile in valori come apprendimento, autostima, divertimento e
socializzazione. Il gioco è uno strumento di crescita personale.
Ogni Gioco deve essere ben studiato al fine anche di insegnare qualcosa di
nuovo sugli argomenti più diversi, ad esempio dall'arte alle scienze, dalla
storia alla geografia, dallo yoga ai colori, dai dinosauri allo spazio.
FCO News
28 ottobre 2020
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